Nel caso in cui un infortunio sul lavoro provochi gravi danni o addirittura la morte del lavoratore, anche il suo convivente ha diritto a risarcimento del danno, così come lo hanno gli eredi.
Coloro che saranno chiamati a pagare sono gli imputati, una volta riconosciuti penalmente responsabili dell’infortunio.
La conferma che il convivente possa costituirsi parte civile nel processo penale si ha nel combinato disposto dell’art. 74 c.p.p., e art. 185 c.p.; tale ultima norma non fa infatti riferimento alla sola persona offesa dal reato, ma al danneggiato in genere, qual’è il convivente.
La risarcibilità del danno sia patrimoniale che morale è pacifica per l’elaborazione giurisprudenziale, che l’ha estesa da moltissimi anni, a partire dagli anni ’70, anche ai conviventi della vittima (V. Sez. 1, Sentenza n. 3790 del 04/02/1994 Ud. Rv. 199108; Sez. 4, Sentenza n. 33305 del 08/07/2002 Cc. Rv. 222366).
“E’ pur vero, quanto al danno patrimoniale, che non ogni convivenza, anche soltanto occasionale, può ritenersi sufficiente a fondare un’azione risarcitoria, consistendo il danno patrimoniale risarcibile nel venir meno degli incrementi patrimoniali, che il convivente di fatto era indotto ad attendersi dal protrarsi nel tempo del rapporto; esso in tanto può essere risarcito, in quanto la convivenza abbia avuto un carattere di stabilità tale da far ragionevolmente ritenere che, ove non fosse intervenuta l’altrui azione, la convivenza sarebbe continuata nel tempo.”(Cassazione penale Sez. IV 1487/2013).
In tali casi è riconosciuta al convivente la possibilità di costituirsi parte civile nel procedimento penale che si svolge contro i responsabili dell’infortunio.
Occorre ricordare che chi richiede il risarcimento è onerato di fornire all’interno del processo penale sia la prova della stabilità della convivenza che quella del danno subito.